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- Simone Tosi
- Nato a gennaio del 1974 a Carpi, diplomato presso l’istituto G. Vallauri, si iscrive a Storia Contemporanea a Bologna. Ha svolto attività ricreative con l’Arciragazzi organizzando campi gioco e soggiorni estivi. Nel 1994 viene nominato segretario della Sinistra Giovanile, incarico che ricopre fino al 1997. Nel 2000 viene nominato responsabile organizzativo dei Ds, tre anni dopo viene eletto Segretario cittadino dei Democratici di Sinistra, carica che riveste fino alla fine del 2006. In Consiglio comunale ininterrottamente dal 1995 è stato capogruppo (anche nel consiglio delle Terre d'argine. Sposato con Valeria, ha un bambino, Giacomo, di tre anni. Nella Giunta Campedelli: Assessore con delega per le seguenti materie: Pianificazione Urbanistica – Edilizia Privata – Servizi Ambientali ed Energetici.
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giovedì 10 giugno 2010
Le proposte del PD sulla manovra economica: Per la crescita, per l’equità, per il lavoro
18:22:00 |
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Pubblico dal sito del Partito Democratico le proposte per correggere una manovra sbagliata e ingiusta,
A Cura del Dipartimento Economia e Lavoro del Partito Democratico
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Premessa La manovra di finanza pubblica in discussione al Senato (il decimo intervento correttivo in due anni di governo), è dovuta alle scelte elettorali ed agli errori di politica economica compiuti dal Governo Berlusconi negli ultimi due anni. Per valutare l’impatto di scelte ed errori, va ricordato che il Governo Berlusconi, a maggio 2008, ha ereditato un quadro di finanza pubblica ricondotto su binari di sostenibilità, dopo il deragliamento causato dal Ministro Tremonti nel periodo 2001-2006. Infatti, il Governo Prodi a maggio 2006 trovò una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea per deficit eccessivo e un debito pubblico in risalita dopo 13 anni di calo. Dopo due anni, il centrosinistra consegnò al Governo Berlusconi-Tremonti un bilancio pubblico con un saldo primario strutturale al 2% ed un debito ricondotto in discesa. La forza del risanamento avviato è documentata dal risultato di indebitamento 2008: nonostante la contrazione dell’economia (-1%), l’assenza di interventi correttivi in corso d’anno e l’abbandono della lotta all’evasione, il deficit 2008 si è fermato al 2,7% del Pil. Tra le cause elettorali della manovra, ricordiamo le principali: a. l’eliminazione delle misure di contrasto all’evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi e il dimezzamento delle sanzioni per l’evasione accertata; b. il “salvataggio” dell’italianità di Alitalia; c. la completa eliminazione dell’Ici sulla prima casa per i nuclei familiari a reddito e patrimonio più elevato; d. gli incentivi fiscali al lavoro straordinario quando già; incominciava a moltiplicarsi il ricorso alla Cassa Integrazione; e. la riduzione delle compensazioni fiscali alle banche per le perdite su crediti inesigibili in una fase segnata dalla contrazione dell’offerta di liquidità; alle piccole imprese.
Tra gli errori, vanno iscritti i seguenti: a. i tagli orizzontali e ciechi, e pertanto inefficaci, alle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni senza alcun disegno di riorganizzazione complessiva di ciascuna macchina amministrativa; b. l’abbattimento delle spese per investimento sia delle pubbliche amministrazioni centrali sia degli enti territoriali a causa di un Patto di Stabilità Interno indifferenziato; c. l’utilizzo delle risorse per le aree sottoutilizzate (Fas) per coprire ogni genere di spesa corrente; d. il rinvio delle riforme strutturali al dopo crisi; e. l’assenza di interventi a sostegno del reddito dei disoccupati “atipici”; f. le ritardate e deboli misure per il rafforzamento dei fondi di garanzia per il credito alle micro, piccole e medie imprese; g. il mancato pagamento di parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese; h. le retromarce sulle principali liberalizzazioni messe in campo nella scorsa legislatura; i. l’abbandono del “monitoraggio attivo” sull’andamento dei prezzi di beni e servizi fondamentali per il potere d’acquisto delle famiglie (dai prodotti petroliferi, alle polizze assicurative); j. l’aumento delle tariffe di importanti servizi pubblici per fare cassa (dai servizi postali all’acqua, dall’elettricità al trasporto ferroviario); k. l’eliminazione di rilevanti detrazioni Irpef (ad esempio, le detrazioni per l’acquisto degli abbonamenti dei pendolari, le detrazioni per le spese di aggiornamento degli insegnanti) e l’aumento di imposte e tasse (dall’assenza di compensazione del fiscal drag alla tassa sulle memorie virtuali presenti in tutti i dispositivi elettronici); l. lo svuotamento dei crediti d’imposta alle imprese per la ricerca e lo sviluppo e agli investimenti nel Mezzogiorno; m. l’eliminazione della detrazione del 55% per le eco-ristrutturazioni.
In sintesi, la manovra presentata dal Governo Berlusconi-Tremonti non ha il fine di migliorare gli obiettivi di deficit e debito pubblico in risposta alle turbolenze europee ed internazionali o per tener conto di un quadro macroeconomico peggiore di quello ipotizzato nella Nota di Aggiornamento al Programma di Stabilità e Crescita inviato a Bruxelles a gennaio 2010.
La Relazione Unificata per l’Economia e la Finanza Pubblica, 6 maggio 2010, afferma in modo chiaro che “gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fermi al 3,9% del Pil per il 2011 e al 2,7% per il 2012 …. il mantenimento degli obiettivi individua una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa 1,6 punti percentuali di Pil nel biennio 2011-2012”.
La manovra non ha neppure il fine di recuperare, come avviene per gli altri principali Paesi europei e gli Usa, le risorse dedicate al salvataggio del sistema bancario o gli interventi anti-ciclici attuati dal Governo. Per una serie di ragioni, le banche italiane non hanno avuto bisogno di capitali pubblici e gli interventi anti-ciclici, nonostante i 10 decreti di finanza pubblica realizzati da giugno 2008 ad oggi, sono stati assenti.
Pertanto, la manovra è necessaria a compensare scelte elettorali ed errori, mentre negli altri Paesi Ocse gli interventi straordinari sono necessari a compensare salvataggi bancari e politiche anti-crisi pari, in media, a 3-4 punti percentuali di Pil. Insomma, la manovra poteva essere evitata attraverso una strategia riformista e una responsabile e accorta gestione della finanza pubblica.
Una manovra senza crescita
Il difetto principale della manovra è l’assenza di una strategia di crescita nella quale collocarla.
La “cultura della stabilità”, tardivamente scoperta dal Ministro Tremonti, viene posta in alternativa alla “cultura della crescita sostenibile”. Così, il Ministro dell’Economia continua a far coincidere la politica economica con la politica di bilancio.
Non può funzionare. La politica di bilancio è parte della politica economica. Soprattutto, l’errore fondamentale della politica economica del Governo sta nell’inversione delle variabili “vincolo” con le variabili “obiettivo”.
Il controllo della finanza pubblica è stato assunto come obiettivo della politica economica, mentre doveva essere considerato come vincolo in relazione all’obiettivo della crescita.
L’inversione implica che, per il Ministro dell’Economia, lasciare aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi di 14 miliardi nel biennio alle nostre spalle (+12% a fronte di una contrazione del Pil nominale di quasi 2 punti percentuali) è equivalente al blocco degliinvestimenti pubblici e allo svuotamento degli incentivi agli investimenti delle imprese. Ovviamente, ai fini dell’impatto sull’economia reale e sulla produttività, non è così.
Insomma, nel rispetto degli aggiustamenti di finanza pubblica, sarebbe stato (e continua ad essere) necessario puntare sulla crescita, non solo e non tanto in termini anti-ciclici, quanto in termini strutturali, ossia per aggredire i nodi che da un quarto di secolo determinano la caduta della nostra produttività totale dei fattori.
Non è stato un errore tecnico. È stata conseguenza di una cultura politica dominata dalla sfiducia nell’Italia civile ed innovativa, dalla declinazione dell’intervento pubblico in economia in forme discrezionali e dirigiste, per “comprare” o estorcere consenso ad interessi particolaristici più che a migliorare le condizioni di contesto e ad attuare interventi selettivi di politica industriale ancorati a principi generali. Insomma, un minimalismo corporativo a salvaguardia di rendite di posizione e alle cieche convenienze di interessi di corto respiro.
Le politiche per la crescita non possono essere promosse soltanto a livello nazionale. Anzi, gli sforzi nazionali rischiano di essere frustrati se permane un indirizzo di politica economica europea mercantilistico e deflattivo, ossia la “linea” imposta dalla Germania all’area euro.
È necessario impegnare il Governo italiano affinché promuova nell’Unione Europea e nell’area euro una linea alternativa per un’Europa federalista della crescita e del lavoro. Vuol dire accompagnare le misure emergenziali e difensive decise a Bruxelles il 10 maggio scorso con un’offensiva per:
Una manovra sbagliata e ingiusta
La manovra è profondamente iniqua. Non solo perché interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l’incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito (ad esempio, non solo la scuola e la sanità sono in condizioni diversissime rispetto ad altre amministrazioni, ma anche all’interno del comparto scuola e sanità le differenze sono rilevantissime).
La manovra è profondamente iniqua perché i tagli ciechi alla spesa colpiscono in misura insufficiente gli sprechi e le inefficienze, mentre tagliano in modo insostenibile i diritti dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, delle micro e piccole imprese. In particolare, peseranno i tagli ad alcuni capitoli del Bilancio dello Stato (ad esempio, ordine pubblico e sicurezza, infrastrutture, risorse per Fas, ecc.) ed i brutali tagli ai trasferimenti a Regioni, Province e Comuni.
Le Regioni a statuto ordinario sono chiamate ad uno sforzo impossibile in quanto i 4,5 miliardi di minori trasferimenti all’anno previsti si scaricheranno su una quota intorno al 15% dei bilanci regionali, dato che la stragrande maggioranza delle risorse intermediate dalle Regioni è dedicata alla spesa sanitaria.
I Comuni, già soffocati dai vincoli “stupidi” del Patto di Stabilità Interno introdotti nell’estate 2008, dovranno ridurre ancora di più sia la spesa per investimenti, sia i servizi sociali. In sostanza, gli interventi sugli enti territoriali, decisi in modo iper-centralistico dal Governo nazionale, determineranno meno risorse per la scuola, per il diritto allo studio, per l’integrazione al reddito dei disoccupati, per l’assistenza agli anziani, per il trasporto pubblico locale, per il sostegno alle imprese, per l’edilizia pubblica.
In alternativa alla diminuzione delle risorse, Regioni, Province e Comuni saranno costrette ad aumentare imposte e tariffe. Il percorso è anticipato dalla possibilità riconosciuta al Comune di Roma di introdurre, tra l’altro, un’imposta di soggiorno ed un’imposta sugli imbarchi aerei.
In generale, la manovra contiene misure incidenti sulla condizione economica dei cittadini: ad esempio la facoltà riconosciuta alle concessionarie autostradali di aumentare i pedaggi, con aggravi fino al 25%, o l’assoggettamento al pedaggio anche dei raccordi autostradali gestiti dall’ANAS.
Le scelte iper-centralistiche sugli enti territoriali pregiudicano l’avvio del federalismo responsabile e solidale. La manovra, infatti, attraverso il taglio dei trasferimenti a Regioni, Province e Comuni limita lo spazio finanziario e getta le basi per una definizione minimale dei livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza.
Apre la porta, quindi, ad un federalismo differenziato ad esclusivo vantaggio delle realtà più ricche del Paese.
A tal proposito, va rimarcato l’ulteriore aggravamento dell’iniquità territoriale nella politica di bilancio del Governo.
Il “centralismo nordista” del Governo continua a sottrarre risorse alle regioni meridionali. La prima forte sottrazione, circa 2 miliardi, è stata effettuata per compensare i costi della completa eliminazione del taglio dell’ICI. Altri 500 milioni, destinati ad investimenti in Calabria e Sicilia, sono stati usati a copertura di spesa corrente. Sopratutto, le risorse Fas sono state utilizzate per ogni ordine di spesa corrente e spesso per far fronte ad esigenze di carattere ordinario. In totale, i tagli e le preallocazioni improprie sono stati pari a circa 19 miliardi di euro (risultanti per 13,7 miliardi dai tagli indicati nella delibera CIPE n. 112/2008 e, per i restanti 5,3 miliardi, da preallocazioni previste da leggi successive).
Nella manovra le risorse Fas vengono ulteriormente ridotte di 2,6 miliardi di euro nel triennio 2011-2013. La possibilità riconosciuta alle regioni meridionali di azzerare l’Irap sulle nuove imprese è puramente virtuale, dato che è completamente a carico delle medesime regioni le quali, come ricordato, sono soffocate dai tagli dei trasferimenti e rischiano, anche a causa del debito nella Sanità, di dover aumentare l’Irap, oltre che l’addizionale Irpef.
La manovra è profondamente iniqua anche perché non viene chiesto alcun contributo a quanti negli ultimi anni hanno beneficiato di un’enorme redistribuzione di reddito e ricchezza. I redditi milionari ed i grandi patrimoni, esempio estremo il Signor Silvio Berlusconi, non contribuiscono neanche con un euro al “sacrificio necessario a salvare la Patria”. La tassazione aggiuntiva del 10% sui bonus superiori almeno a tre volte l’importo della retribuzione fissa dei manager delle banche è l’ennesima presa in giro dato che, dopo gli interventi della Banca d’Italia, non esistono più mix retributivi simili.
Infine, la manovra è profondamente iniqua perché le misure anti-evasione sono una retromarcia parziale e contraddittoria. Innanzitutto, va ricordata la tolleranza attiva dell’evasione praticata dal Governo Berlusconi-Tremonti.
Al di là delle citazioni del Berlusconi d’annata, il favore all’evasione è evidente nei 18 condoni fiscali, contributivi ed edilizi fatti dal 2001 al 2006 e ripresi in questa legislatura. Inoltre, è evidente anche nella cancellazione delle misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi nella scorsa legislatura.
Infine, è evidente nel mega-condono per i capitali evasi e trasferiti all’estero (il famoso “scudo fiscale”) a prezzi di favore (5% rispetto a circa il 50% dovuto negli altri Paesi), con garanzia di anonimato e sospensione dell’obbligo di segnalazione anti-riciclaggio per gli intermediari finanziari.
A proposito di risultati raggiunti dal Governo Berlusconi- Tremonti nella lotta all’evasione, la contabilità è falsa. Infatti, non si può fare solo riferimento agli incassi da accertamenti, ma si deve guardare all’andamento dei comportamenti dei contribuenti, ossia alla fedeltà fiscale (tax compliance).
In sostanza, negli ultimi 2 anni abbiamo avuto +1 in maggiori incassi da accertamenti e -10 a causa della caduta della fedeltà fiscale. L’andamento del gettito Iva è crollato del 10%, mentre i consumi sono rimasti stabili in termini nominali. Non c’è nessun caso analogo in Europa e, come noto, l’Iva è l’apripista dell’evasione.
Non a caso, nel 2009 e 2010 il crollo delle imposte dirette sul reddito ha superato le pur pessimistiche previsioni del Ministero dell’Economia.
A conferma della retromarcia del Governo viene indicata la re-introduzione della tracciabilità dei pagamenti.
A tal proposito, va ricordato che il Governo Prodi aveva introdotto 2 misure distinte: la soglia dei 5.000 euro in funzione antiriciclaggio (abolita dal Governo Berlusconi nel giugno 2008 ed ora re-introdotta) e la soglia, in graduale riduzione da 1.000 a 100 euro, esclusivamente per i pagamenti dei professionisti (ossia, non si applicava per l’acquisto delle scarpe). Per far seriamente la lotta all’evasione, la retromarcia di Tremonti dovrebbe anche riguardare il ripristino delle sanzioni all’evasione accertata (dimezzate nell’estate del 2008) e l’eliminazione della protezione dai controlli fiscali assicurata agli oltre 200.000 grandi evasori che hanno beneficiato dello scudo fiscale a prezzi stracciati.
Inoltre, per recuperare almeno in minima parte il gettito perduto, il “mitico” redditometro propagandato dall’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere applicato anche agli accertamenti sugli anni precedenti al 2009: non si vede perché l’amministrazione dovrebbe privarsi di tale potente strumento per accertare il passato.
Infine, non va dimenticato che l’evasione si combatte anche con le politiche industriali e per la competitività delle imprese, insomma con le riforme per la crescita, non solo con i controlli ed i vincoli.
Per rendere credibile, quindi efficace, la retromarcia del Governo Berlusconi-Tremonti nella lotta all’evasione, andrebbe eliminato ogni spazio ai condoni. Invece, la manovra contiene, nonostante le smentite ufficiali, il rischio di condono per gli “immobili fantasma” e per possibili abusi da realizzare entro il 31 dicembre 2010.
Una manovra strutturalmente debole
La manovra, oltre che orfana di una strategia per la crescita e profondamente iniqua, è anche poco strutturale.
Innanzitutto, le correzioni di spese ed entrate si riferiscono ad andamenti tendenziali (ossia a “legislazione vigente”, senza tener conto degli effetti della manovra in discussione) che sono irrealistici.
È irrealistico, viste le serie storiche, assumere per il triennio 2010-2012 la sostanziale invarianza delle spese per acquisti di beni e servizi.
È altrettanto irrealistico prevedere una crescita delle imposte dirette ed indirette con un’elasticità al Pil superiore ad 1, dati i risultati nettamente inferiori conseguiti nel 2008 e 2009 a causa dell’allargamento dell’area dell’evasione.
All’irrealismo dello scenario base, si somma l’irrealismo delle correzioni definite nella manovra. In particolare, sono completamente fuori misura le previsioni di recupero di evasione. Anzi, si deve sottolineare il mutato atteggiamento della Ragioneria Generale dello Stato che, con un’inversione di 180 gradi rispetto alla posizione, corretta, avuta nella scorsa legislatura, ha considerato valide le previsioni di entrata (per alcuni miliardi di euro all’anno) conseguenti all’ “effetto deterrenza”.
Oltre alle valutazioni irrealistiche, i risparmi previsti nella manovra sono in diversi e rilevanti casi di carattere una tantum. Si tratta, ad esempio, della sospensione degli scatti di anzianità nel pubblico impiego per i settori per i quali è previsto il recupero alla fine del triennio.
Si tratta, almeno in parte, data l’assenza di radicali interventi di ristrutturazione e ri-organizzazione mirata, del blocco del turn-over, della cancellazione di metà dei contratti di lavoro a tempo determinato e dei tagli per le spese delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali.
Le proposte del Pd per la crescita ed il lavoro
Le proposte del Pd si incentrano su misure per la crescita, per il lavoro e per l’equità. Senza sostegno alla crescita, al lavoro, e attenzione all’equità non vi può essere risanamento sostenibile dei conti pubblici.
Gli interventi si concentrano su 4 assi: I) riforme fiscali, per spostare il carico dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale.
Il baricentro della riforma fiscale è la tassazione di tutti i redditi con un’aliquota di riferimento al 20% a cominciare dalla prima aliquota Irpef, poiché un euro di reddito da lavoro o d’impresa non può essere tassato più di un euro di reddito da capitale o di rendita.
Negli emendamenti alla manovra, intendiamo realizzare i primi passi della riforma.
Per innalzare il tasso di attività femminile, sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, migliorare la competitività delle imprese e qualificare la crescita, proponiamo di:
Per coprire gli interventi per la crescita, il lavoro e l’equità, il Pd propone le seguenti misure: 1. “piani industriali” specifici ed interventi per la riorganizzazione e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni:
3. l’allineamento della tassazione dei redditi da capitale (inclusi i redditi da locazione ed esclusi i titoli del debito pubblico) su un’aliquota del 20% e, in coordinamento con la riforma federalista, la destinazione delle imposte sui redditi da capitale immobiliare al finanziamento dei Comuni; l’introduzione e/o innalzamento delle tasse su consumi ed attività produttive ad elevato impatto ambientale;
4. l’asta per l’assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre ed il passaggio delle pubbliche amministrazioni all’utilizzo dei software open source.
Premessa La manovra di finanza pubblica in discussione al Senato (il decimo intervento correttivo in due anni di governo), è dovuta alle scelte elettorali ed agli errori di politica economica compiuti dal Governo Berlusconi negli ultimi due anni. Per valutare l’impatto di scelte ed errori, va ricordato che il Governo Berlusconi, a maggio 2008, ha ereditato un quadro di finanza pubblica ricondotto su binari di sostenibilità, dopo il deragliamento causato dal Ministro Tremonti nel periodo 2001-2006. Infatti, il Governo Prodi a maggio 2006 trovò una procedura di infrazione aperta dalla Commissione Europea per deficit eccessivo e un debito pubblico in risalita dopo 13 anni di calo. Dopo due anni, il centrosinistra consegnò al Governo Berlusconi-Tremonti un bilancio pubblico con un saldo primario strutturale al 2% ed un debito ricondotto in discesa. La forza del risanamento avviato è documentata dal risultato di indebitamento 2008: nonostante la contrazione dell’economia (-1%), l’assenza di interventi correttivi in corso d’anno e l’abbandono della lotta all’evasione, il deficit 2008 si è fermato al 2,7% del Pil. Tra le cause elettorali della manovra, ricordiamo le principali: a. l’eliminazione delle misure di contrasto all’evasione fiscale introdotte dal Governo Prodi e il dimezzamento delle sanzioni per l’evasione accertata; b. il “salvataggio” dell’italianità di Alitalia; c. la completa eliminazione dell’Ici sulla prima casa per i nuclei familiari a reddito e patrimonio più elevato; d. gli incentivi fiscali al lavoro straordinario quando già; incominciava a moltiplicarsi il ricorso alla Cassa Integrazione; e. la riduzione delle compensazioni fiscali alle banche per le perdite su crediti inesigibili in una fase segnata dalla contrazione dell’offerta di liquidità; alle piccole imprese.
Tra gli errori, vanno iscritti i seguenti: a. i tagli orizzontali e ciechi, e pertanto inefficaci, alle spese di funzionamento delle pubbliche amministrazioni senza alcun disegno di riorganizzazione complessiva di ciascuna macchina amministrativa; b. l’abbattimento delle spese per investimento sia delle pubbliche amministrazioni centrali sia degli enti territoriali a causa di un Patto di Stabilità Interno indifferenziato; c. l’utilizzo delle risorse per le aree sottoutilizzate (Fas) per coprire ogni genere di spesa corrente; d. il rinvio delle riforme strutturali al dopo crisi; e. l’assenza di interventi a sostegno del reddito dei disoccupati “atipici”; f. le ritardate e deboli misure per il rafforzamento dei fondi di garanzia per il credito alle micro, piccole e medie imprese; g. il mancato pagamento di parte dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese; h. le retromarce sulle principali liberalizzazioni messe in campo nella scorsa legislatura; i. l’abbandono del “monitoraggio attivo” sull’andamento dei prezzi di beni e servizi fondamentali per il potere d’acquisto delle famiglie (dai prodotti petroliferi, alle polizze assicurative); j. l’aumento delle tariffe di importanti servizi pubblici per fare cassa (dai servizi postali all’acqua, dall’elettricità al trasporto ferroviario); k. l’eliminazione di rilevanti detrazioni Irpef (ad esempio, le detrazioni per l’acquisto degli abbonamenti dei pendolari, le detrazioni per le spese di aggiornamento degli insegnanti) e l’aumento di imposte e tasse (dall’assenza di compensazione del fiscal drag alla tassa sulle memorie virtuali presenti in tutti i dispositivi elettronici); l. lo svuotamento dei crediti d’imposta alle imprese per la ricerca e lo sviluppo e agli investimenti nel Mezzogiorno; m. l’eliminazione della detrazione del 55% per le eco-ristrutturazioni.
In sintesi, la manovra presentata dal Governo Berlusconi-Tremonti non ha il fine di migliorare gli obiettivi di deficit e debito pubblico in risposta alle turbolenze europee ed internazionali o per tener conto di un quadro macroeconomico peggiore di quello ipotizzato nella Nota di Aggiornamento al Programma di Stabilità e Crescita inviato a Bruxelles a gennaio 2010.
La Relazione Unificata per l’Economia e la Finanza Pubblica, 6 maggio 2010, afferma in modo chiaro che “gli obiettivi programmatici di indebitamento netto restano fermi al 3,9% del Pil per il 2011 e al 2,7% per il 2012 …. il mantenimento degli obiettivi individua una manovra correttiva sul saldo primario pari, in termini cumulati, a circa 1,6 punti percentuali di Pil nel biennio 2011-2012”.
La manovra non ha neppure il fine di recuperare, come avviene per gli altri principali Paesi europei e gli Usa, le risorse dedicate al salvataggio del sistema bancario o gli interventi anti-ciclici attuati dal Governo. Per una serie di ragioni, le banche italiane non hanno avuto bisogno di capitali pubblici e gli interventi anti-ciclici, nonostante i 10 decreti di finanza pubblica realizzati da giugno 2008 ad oggi, sono stati assenti.
Pertanto, la manovra è necessaria a compensare scelte elettorali ed errori, mentre negli altri Paesi Ocse gli interventi straordinari sono necessari a compensare salvataggi bancari e politiche anti-crisi pari, in media, a 3-4 punti percentuali di Pil. Insomma, la manovra poteva essere evitata attraverso una strategia riformista e una responsabile e accorta gestione della finanza pubblica.
Una manovra senza crescita
Il difetto principale della manovra è l’assenza di una strategia di crescita nella quale collocarla.
La “cultura della stabilità”, tardivamente scoperta dal Ministro Tremonti, viene posta in alternativa alla “cultura della crescita sostenibile”. Così, il Ministro dell’Economia continua a far coincidere la politica economica con la politica di bilancio.
Non può funzionare. La politica di bilancio è parte della politica economica. Soprattutto, l’errore fondamentale della politica economica del Governo sta nell’inversione delle variabili “vincolo” con le variabili “obiettivo”.
Il controllo della finanza pubblica è stato assunto come obiettivo della politica economica, mentre doveva essere considerato come vincolo in relazione all’obiettivo della crescita.
L’inversione implica che, per il Ministro dell’Economia, lasciare aumentare la spesa per acquisti di beni e servizi di 14 miliardi nel biennio alle nostre spalle (+12% a fronte di una contrazione del Pil nominale di quasi 2 punti percentuali) è equivalente al blocco degliinvestimenti pubblici e allo svuotamento degli incentivi agli investimenti delle imprese. Ovviamente, ai fini dell’impatto sull’economia reale e sulla produttività, non è così.
Insomma, nel rispetto degli aggiustamenti di finanza pubblica, sarebbe stato (e continua ad essere) necessario puntare sulla crescita, non solo e non tanto in termini anti-ciclici, quanto in termini strutturali, ossia per aggredire i nodi che da un quarto di secolo determinano la caduta della nostra produttività totale dei fattori.
Non è stato un errore tecnico. È stata conseguenza di una cultura politica dominata dalla sfiducia nell’Italia civile ed innovativa, dalla declinazione dell’intervento pubblico in economia in forme discrezionali e dirigiste, per “comprare” o estorcere consenso ad interessi particolaristici più che a migliorare le condizioni di contesto e ad attuare interventi selettivi di politica industriale ancorati a principi generali. Insomma, un minimalismo corporativo a salvaguardia di rendite di posizione e alle cieche convenienze di interessi di corto respiro.
Le politiche per la crescita non possono essere promosse soltanto a livello nazionale. Anzi, gli sforzi nazionali rischiano di essere frustrati se permane un indirizzo di politica economica europea mercantilistico e deflattivo, ossia la “linea” imposta dalla Germania all’area euro.
È necessario impegnare il Governo italiano affinché promuova nell’Unione Europea e nell’area euro una linea alternativa per un’Europa federalista della crescita e del lavoro. Vuol dire accompagnare le misure emergenziali e difensive decise a Bruxelles il 10 maggio scorso con un’offensiva per:
- un'effettiva e stringente regolazione e vigilanza federale dei mercati finanziari per disciplinare hedge funds, fondi sovrani, attività; speculative degli intermediari finanziari;
- un "Piano Europeo per il Lavoro", finanziato con eurobonds, per costruire infrastrutture strategiche, sostenere programmi di ristrutturazione industriale, politica industriale, ricerca ed innovazione;
- il rafforzamento del mercato unico secondo le linee guida elaborate nel recente "Rapporto Monti";
- un coordinamento contro la competizione fiscale al ribasso, per il contrasto ai paradisi fiscali, per una financial transaction tax contro i movimenti finanziari speculativi;
- l'apertura, in sede WTO, di una discussione sugli standard sociali ed ambientali minimi per gli scambi di merci e servizi e un border tax adjustment.
Una manovra sbagliata e ingiusta
La manovra è profondamente iniqua. Non solo perché interviene in modo indiscriminato sul pubblico impiego, negando alla radice l’incentivazione del merito, dimezzando il numero dei lavoratori a tempo determinato o con contratti di collaborazione e bloccando il turn-over senza distinguere le specificità e le diversissime esigenze di ciascun ambito (ad esempio, non solo la scuola e la sanità sono in condizioni diversissime rispetto ad altre amministrazioni, ma anche all’interno del comparto scuola e sanità le differenze sono rilevantissime).
La manovra è profondamente iniqua perché i tagli ciechi alla spesa colpiscono in misura insufficiente gli sprechi e le inefficienze, mentre tagliano in modo insostenibile i diritti dei cittadini, dei lavoratori, degli studenti, dei pensionati, delle micro e piccole imprese. In particolare, peseranno i tagli ad alcuni capitoli del Bilancio dello Stato (ad esempio, ordine pubblico e sicurezza, infrastrutture, risorse per Fas, ecc.) ed i brutali tagli ai trasferimenti a Regioni, Province e Comuni.
Le Regioni a statuto ordinario sono chiamate ad uno sforzo impossibile in quanto i 4,5 miliardi di minori trasferimenti all’anno previsti si scaricheranno su una quota intorno al 15% dei bilanci regionali, dato che la stragrande maggioranza delle risorse intermediate dalle Regioni è dedicata alla spesa sanitaria.
I Comuni, già soffocati dai vincoli “stupidi” del Patto di Stabilità Interno introdotti nell’estate 2008, dovranno ridurre ancora di più sia la spesa per investimenti, sia i servizi sociali. In sostanza, gli interventi sugli enti territoriali, decisi in modo iper-centralistico dal Governo nazionale, determineranno meno risorse per la scuola, per il diritto allo studio, per l’integrazione al reddito dei disoccupati, per l’assistenza agli anziani, per il trasporto pubblico locale, per il sostegno alle imprese, per l’edilizia pubblica.
In alternativa alla diminuzione delle risorse, Regioni, Province e Comuni saranno costrette ad aumentare imposte e tariffe. Il percorso è anticipato dalla possibilità riconosciuta al Comune di Roma di introdurre, tra l’altro, un’imposta di soggiorno ed un’imposta sugli imbarchi aerei.
In generale, la manovra contiene misure incidenti sulla condizione economica dei cittadini: ad esempio la facoltà riconosciuta alle concessionarie autostradali di aumentare i pedaggi, con aggravi fino al 25%, o l’assoggettamento al pedaggio anche dei raccordi autostradali gestiti dall’ANAS.
Le scelte iper-centralistiche sugli enti territoriali pregiudicano l’avvio del federalismo responsabile e solidale. La manovra, infatti, attraverso il taglio dei trasferimenti a Regioni, Province e Comuni limita lo spazio finanziario e getta le basi per una definizione minimale dei livelli essenziali delle prestazioni di cittadinanza.
Apre la porta, quindi, ad un federalismo differenziato ad esclusivo vantaggio delle realtà più ricche del Paese.
A tal proposito, va rimarcato l’ulteriore aggravamento dell’iniquità territoriale nella politica di bilancio del Governo.
Il “centralismo nordista” del Governo continua a sottrarre risorse alle regioni meridionali. La prima forte sottrazione, circa 2 miliardi, è stata effettuata per compensare i costi della completa eliminazione del taglio dell’ICI. Altri 500 milioni, destinati ad investimenti in Calabria e Sicilia, sono stati usati a copertura di spesa corrente. Sopratutto, le risorse Fas sono state utilizzate per ogni ordine di spesa corrente e spesso per far fronte ad esigenze di carattere ordinario. In totale, i tagli e le preallocazioni improprie sono stati pari a circa 19 miliardi di euro (risultanti per 13,7 miliardi dai tagli indicati nella delibera CIPE n. 112/2008 e, per i restanti 5,3 miliardi, da preallocazioni previste da leggi successive).
Nella manovra le risorse Fas vengono ulteriormente ridotte di 2,6 miliardi di euro nel triennio 2011-2013. La possibilità riconosciuta alle regioni meridionali di azzerare l’Irap sulle nuove imprese è puramente virtuale, dato che è completamente a carico delle medesime regioni le quali, come ricordato, sono soffocate dai tagli dei trasferimenti e rischiano, anche a causa del debito nella Sanità, di dover aumentare l’Irap, oltre che l’addizionale Irpef.
La manovra è profondamente iniqua anche perché non viene chiesto alcun contributo a quanti negli ultimi anni hanno beneficiato di un’enorme redistribuzione di reddito e ricchezza. I redditi milionari ed i grandi patrimoni, esempio estremo il Signor Silvio Berlusconi, non contribuiscono neanche con un euro al “sacrificio necessario a salvare la Patria”. La tassazione aggiuntiva del 10% sui bonus superiori almeno a tre volte l’importo della retribuzione fissa dei manager delle banche è l’ennesima presa in giro dato che, dopo gli interventi della Banca d’Italia, non esistono più mix retributivi simili.
Infine, la manovra è profondamente iniqua perché le misure anti-evasione sono una retromarcia parziale e contraddittoria. Innanzitutto, va ricordata la tolleranza attiva dell’evasione praticata dal Governo Berlusconi-Tremonti.
Al di là delle citazioni del Berlusconi d’annata, il favore all’evasione è evidente nei 18 condoni fiscali, contributivi ed edilizi fatti dal 2001 al 2006 e ripresi in questa legislatura. Inoltre, è evidente anche nella cancellazione delle misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi nella scorsa legislatura.
Infine, è evidente nel mega-condono per i capitali evasi e trasferiti all’estero (il famoso “scudo fiscale”) a prezzi di favore (5% rispetto a circa il 50% dovuto negli altri Paesi), con garanzia di anonimato e sospensione dell’obbligo di segnalazione anti-riciclaggio per gli intermediari finanziari.
A proposito di risultati raggiunti dal Governo Berlusconi- Tremonti nella lotta all’evasione, la contabilità è falsa. Infatti, non si può fare solo riferimento agli incassi da accertamenti, ma si deve guardare all’andamento dei comportamenti dei contribuenti, ossia alla fedeltà fiscale (tax compliance).
In sostanza, negli ultimi 2 anni abbiamo avuto +1 in maggiori incassi da accertamenti e -10 a causa della caduta della fedeltà fiscale. L’andamento del gettito Iva è crollato del 10%, mentre i consumi sono rimasti stabili in termini nominali. Non c’è nessun caso analogo in Europa e, come noto, l’Iva è l’apripista dell’evasione.
Non a caso, nel 2009 e 2010 il crollo delle imposte dirette sul reddito ha superato le pur pessimistiche previsioni del Ministero dell’Economia.
A conferma della retromarcia del Governo viene indicata la re-introduzione della tracciabilità dei pagamenti.
A tal proposito, va ricordato che il Governo Prodi aveva introdotto 2 misure distinte: la soglia dei 5.000 euro in funzione antiriciclaggio (abolita dal Governo Berlusconi nel giugno 2008 ed ora re-introdotta) e la soglia, in graduale riduzione da 1.000 a 100 euro, esclusivamente per i pagamenti dei professionisti (ossia, non si applicava per l’acquisto delle scarpe). Per far seriamente la lotta all’evasione, la retromarcia di Tremonti dovrebbe anche riguardare il ripristino delle sanzioni all’evasione accertata (dimezzate nell’estate del 2008) e l’eliminazione della protezione dai controlli fiscali assicurata agli oltre 200.000 grandi evasori che hanno beneficiato dello scudo fiscale a prezzi stracciati.
Inoltre, per recuperare almeno in minima parte il gettito perduto, il “mitico” redditometro propagandato dall’Agenzia delle Entrate, dovrebbe essere applicato anche agli accertamenti sugli anni precedenti al 2009: non si vede perché l’amministrazione dovrebbe privarsi di tale potente strumento per accertare il passato.
Infine, non va dimenticato che l’evasione si combatte anche con le politiche industriali e per la competitività delle imprese, insomma con le riforme per la crescita, non solo con i controlli ed i vincoli.
Per rendere credibile, quindi efficace, la retromarcia del Governo Berlusconi-Tremonti nella lotta all’evasione, andrebbe eliminato ogni spazio ai condoni. Invece, la manovra contiene, nonostante le smentite ufficiali, il rischio di condono per gli “immobili fantasma” e per possibili abusi da realizzare entro il 31 dicembre 2010.
Una manovra strutturalmente debole
La manovra, oltre che orfana di una strategia per la crescita e profondamente iniqua, è anche poco strutturale.
Innanzitutto, le correzioni di spese ed entrate si riferiscono ad andamenti tendenziali (ossia a “legislazione vigente”, senza tener conto degli effetti della manovra in discussione) che sono irrealistici.
È irrealistico, viste le serie storiche, assumere per il triennio 2010-2012 la sostanziale invarianza delle spese per acquisti di beni e servizi.
È altrettanto irrealistico prevedere una crescita delle imposte dirette ed indirette con un’elasticità al Pil superiore ad 1, dati i risultati nettamente inferiori conseguiti nel 2008 e 2009 a causa dell’allargamento dell’area dell’evasione.
All’irrealismo dello scenario base, si somma l’irrealismo delle correzioni definite nella manovra. In particolare, sono completamente fuori misura le previsioni di recupero di evasione. Anzi, si deve sottolineare il mutato atteggiamento della Ragioneria Generale dello Stato che, con un’inversione di 180 gradi rispetto alla posizione, corretta, avuta nella scorsa legislatura, ha considerato valide le previsioni di entrata (per alcuni miliardi di euro all’anno) conseguenti all’ “effetto deterrenza”.
Oltre alle valutazioni irrealistiche, i risparmi previsti nella manovra sono in diversi e rilevanti casi di carattere una tantum. Si tratta, ad esempio, della sospensione degli scatti di anzianità nel pubblico impiego per i settori per i quali è previsto il recupero alla fine del triennio.
Si tratta, almeno in parte, data l’assenza di radicali interventi di ristrutturazione e ri-organizzazione mirata, del blocco del turn-over, della cancellazione di metà dei contratti di lavoro a tempo determinato e dei tagli per le spese delle pubbliche amministrazioni centrali e territoriali.
Le proposte del Pd per la crescita ed il lavoro
Le proposte del Pd si incentrano su misure per la crescita, per il lavoro e per l’equità. Senza sostegno alla crescita, al lavoro, e attenzione all’equità non vi può essere risanamento sostenibile dei conti pubblici.
Gli interventi si concentrano su 4 assi: I) riforme fiscali, per spostare il carico dal lavoro e dall’impresa ai redditi evasi e ai redditi da capitale.
Il baricentro della riforma fiscale è la tassazione di tutti i redditi con un’aliquota di riferimento al 20% a cominciare dalla prima aliquota Irpef, poiché un euro di reddito da lavoro o d’impresa non può essere tassato più di un euro di reddito da capitale o di rendita.
Negli emendamenti alla manovra, intendiamo realizzare i primi passi della riforma.
Per innalzare il tasso di attività femminile, sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, migliorare la competitività delle imprese e qualificare la crescita, proponiamo di:
- aumentare le detrazioni d’imposta per le donne lavoratrici in nuclei famigliari con figli a carico;
- introdurre, gradualmente, un contributo annuale di 3000 euro all’anno per ogni figlio fino alla maggiore età, a cominciare dalla fascia 0-3 anni, esteso anche ai lavoratori autonomi e professionisti;
- eliminare i tetti ed il click day all’utilizzo dei crediti d’imposta per le spese in ricerca e sviluppo e per gli investimenti nel Mezzogiorno;
- innalzare la franchigia Irap per le piccole imprese;
- innalzare i limiti di fatturato e patrimonio per il “forfettone fiscale” e rivedere gli Studi di Settore;
- re-introdurre la detrazione d’imposta del 55% per le eco-ristrutturazioni e per il risparmio energetico e ripristinare il mercato dei “certificati verdi”;
Per coprire gli interventi per la crescita, il lavoro e l’equità, il Pd propone le seguenti misure: 1. “piani industriali” specifici ed interventi per la riorganizzazione e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni:
- cancellazione delle normative in deroga per gli appalti, in particolare la gestione in deroga per la Protezione Civile;
- revisione del progetto per il Ponte sullo Stretto di Messina;
- razionalizzazione delle società pubbliche o partecipate da Stato, Regioni, Province e Comuni;
- razionalizzazione degli uffici delle amministrazioni centrali sul territorio;
- centralizzazione degli acquisti;
- revisioni dei programmi di spesa del Ministero della Difesa ed eliminazione della società Difesa SpA;
- razionalizzazione sedi universitarie; razionalizzazione corpi di polizia;
- razionalizzazione dei livelli di governo territoriale;
- riduzione mirata del numero di dirigenti pubblici;
- abbassamento dei costi della politica attraverso la riduzione del numero dei parlamentari e la specializzazione delle Camere;
- riduzione a 2.000 euro del limite per la fatturazione elettronica;
- accertamento sintetico da redditometro potenziato a partire dal 2005;
- accesso selettivo alle informazioni bancarie;
- neutralizzazione dei patrimoni condonati dallo “scudo fiscale” ai fini dell’accertamento ed innalzamento dell’aliquota di regolarizzazione;
- ripristino delle sanzioni per l’evasione accertata come vigenti a maggio 2008;
3. l’allineamento della tassazione dei redditi da capitale (inclusi i redditi da locazione ed esclusi i titoli del debito pubblico) su un’aliquota del 20% e, in coordinamento con la riforma federalista, la destinazione delle imposte sui redditi da capitale immobiliare al finanziamento dei Comuni; l’introduzione e/o innalzamento delle tasse su consumi ed attività produttive ad elevato impatto ambientale;
4. l’asta per l’assegnazione delle frequenze liberate dal digitale terrestre ed il passaggio delle pubbliche amministrazioni all’utilizzo dei software open source.
ALLEGATI